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L’azienda di Rodolfo Migliorini oltre a Baroli sempre più convincenti e ai rossi tradizionali produce un Metodo Classico che rifermenta al suono di un’opera appositamente composta da Ezio Bosso

Andando nelle Langhe bisogna mettere in conto uno sforzo plurimo: esistono infatti colline dotate di una certa scarica elettrica. Riescono a proiettarti in un tempo passato, riconoscibile solo nei racconti di Fenoglio. Senza navigatore, nelle prime nebbie mattutine d’autunno, si rischia di non vedere la stretta e ripida strada che conduce all’odierno podere della famiglia Migliorini. Valentino è atterrato ai piedi di Monforte d’Alba nel 1974. Abbandonava il ristorante, insignito anche di una stella Michelin, nel piacentino, a Caorso, per il vino. Per il Barolo. Gli piaceva raccontarlo. Berlo. Diventare epicentro del processo produttivo di un vino così poderoso, che iniziava timidamente ad affacciarsi anche sulla scena internazionale, essere il fuoco e non il braciere che lo ospita. L’occasione arrivò con l’acquisto di una cascina costruita intorno agli anni Cinquanta del Settecento, a metà di una collina circondata dal bosco, oggi impiegata per ospitare le basi dei vini destinati ai blend. A ben guardare, già al tempo apparivano filari di vigneti affacciati proprio su Monforte, uno dei luoghi eletti per la custodia di testimonianze anticipatrici di quello riconosciuto nel mondo come il “fenomeno Barolo”, che non pare avere alcun cenno di arresto. Valentino, come per le opere pittoriche, sceglie di impostare la sua attività dotandola presto di più basi d’appoggio, per avere la certezza di potersi spingere oltre i limiti tradizionalmente imposti. E ci riesce. Si ambienta con il territorio che lo circonda con le uniche due botti di vino prodotte nella cascina a base Barbera e Nebbiolo. Nel 1976, unendole, crea il primo vino in assemblaggio di Langa: il Bricco Manzoni. Dopo due anni, inizia la produzione di Metodo Classico e a impiegare barriques per l’affinamento. Fa arrivare 300 carati in rovere. La sua visione imprenditoriale è vincente, la ghiacciaia adibita a sala degustazione oggi è simbolo eloquente di un passato agricolo destinato a cambiare. Si scava dentro la collina per costruire una cantina ampia, capace di accogliere importanti volumi di vino: si sviluppa su due piani e si aggiunge una terza struttura dedicata al riposo dei vini in vetro, che culmina con una cupola affrescata dal pittore Guy Rivoir. La “Sistina di Langa”. Sembra una sala da ballo. È immensa. Ponendosi al centro si viene osservati dai personaggi disegnati sulle colonne che hanno segnato la storia del Barolo, da Cavour a Re Carlo Alberto e alla Marchesa Falletti Colbert. Ci si smarrisce e ci si ritrova provando a contare le vecchie bottiglie di Barolo in grandi formati poste in un piccolo tunnel al piano terra, da raggiungere scendendo da una delle due scalinate marmoree che collegano i due piani. In galleria, colma di spumanti sui lieviti, i passi sono accompagnati dalla musica selezionata dall’Esoconcerto “Allegro molto”, una melodia composta dal maestro Ezio Bosso, amico fraterno di Rodolfo Migliorini.

Rodolfo è figlio di Valentino, al quale si deve l’avvio di un mutamento della concezione della produzione enoica nelle Langhe. Negli anni in cui si fuggiva alla ricerca di un lavoro in fabbrica, Valentino acquistava i primi 20 ettari di terra tra diffidenza e incredulità generali dei contadini. Oggi la superficie vitata di proprietà è arrivata a 50 ettari, e Rodolfo non solo non ha tradito la filosofia del padre ma l’ha resa più solida, continuando a investire sulla diversificazione della produzione, aggiungendo referenze per arrivare a gestire 250mila bottiglie suddivise in 18 diversi vini, catalogati in tre diversi “mondi”: il “Valentino”, in cui rientrano i Metodo Classico Brut Valentino, i Brut Rosé Valentino, i Brut Elena Valentino e il Brut Cuvée Speciale DOOR 185th, il “Rocche dei Manzoni”, marchio classico per i vini bianchi (Chardonnay e il dolce “Remenber”), i rossi (Dolcetto, Barbera e Nebbiolo) e i Barolo di Monforte d’Alba (Barolo 10 anni Riserva Castelletto “Vigna Madonna Assunta La Villa”, Bricco San Pietro “Vigna d’la Roul”, “Big ‘d Big” e Barolo d’annata) e, infine, il “Pianpolvere Soprano”.

Andando per ordine, tra gli spumanti troviamo bollicine autoriali, precise, con una potenza di succo invidiabile che si impongono nel mercato proprio per la loro capacità espressiva ed evolutiva. La sperimentazione forse più profonda, l’infatuazione perenne per Rodolfo, è per il progetto nato con Ezio Bosso sfociato nell’elaborazione della Cuvée Door 185th. I due si cimentano in una sperimentazione inedita. Selezionata una composizione del Maestro, la più adatta ad agire durante il processo di affinamento del vino e a influenzare la rifermentazione in bottiglia dei lieviti, si sottopone il vino per almeno 8 anni a una sollecitazione musicale misurata e controllata, sia come tempo sia come intensità, per ottimizzare l’attività dei lieviti. Oggi, vini nel calice, si può affermare che le vibrazioni della musica durante il processo di affinamento di un Metodo Classico, rendono l’attività dei lieviti più veloce, restituendo un sorso più profondo, intenso per la gola, rimanendo però nella sua più integra compostezza.

Per i Barolo, invece, Rodolfo ha lentamente iniziato ad aumentare l’uso del tonneau arrivando a quasi il 60% e a “smaltire” il legno delle barrique nuove per impattare il meno possibile il vino con sensazioni derivanti dalle stesse. L’obiettivo è la ricerca di micro-ossigenazioni naturali per portare in bottiglia vini nitidi e con una certa grassezza. Il risultato, da qualche tempo, non solo è molto convincente ma quasi intimo. La lettura dei vigneti è più scandita, libera. La persistenza tannica diventa uno dei marker chiave per comprendere prima che codificare l’impostazione stilistica dei Barolo Rocche dei Manzoni.

Pianpolvere è la rappresentazione di come un vigneto sia stato “progettato” per essere un’espressione di bellezza, una meraviglia; c’è un costante affioramento di emozioni in forma liquida e fisica con lo sguardo ai filari di vigneti, per la maggior parte completamente reimpiantati nel corso degli ultimi vent’anni. Rodolfo non deve avere fatto tanta fatica a scegliere di condividere, potenzialmente con il mondo intero, il racconto di quello che sarebbe stato il suo percorso, la sua espressione di Barolo Pianpolvere, dotato di elementi tanto eletti quanto performanti. A questo suo attaccamento al vigneto, quasi viscerale, si deve l’arrivo e il suo motivo per restare nelle Langhe. Il suo sentimento si nutre in ogni racconto e apertura di bottiglia. Il fazzoletto di terra di nove ettari, condotto in biodinamica, vede anche in fondo valle un piccolo lago artificiale dal quale si riescono chiaramente a delinearne i confini; i filari assumono le sembianze di un triangolo rettangolo rovesciato. Così arioso, l’appezzamento aveva convinto anche Napoleone Bonaparte a tal punto che decise di costruirci una polveriera. Le virtù di questo luogo restano come sospese e viaggiano nei secoli. Pianpolvere diventa una proprietà ecclesiastica fino ai primi anni del 1900; sotto l’egida della Famiglia Fenocchio, per 68 anni, brilla per le sue doti: capacità di invecchiamento, potenza, naso contaminato tra polvere da sparo, agrumi, capperi e fiori essiccati. Folate balsamiche ed orientali. Un’icona per le Langhe, un vino feticcio per i palati sopraffini; l’area produttiva era già stata inserita nella mappa di Renato Ratti, che menziona la vigna come “Pian della Polvere” ma oggi è “Pianpolvere Soprano” per due motivi: per la storia della polveriera e perché “Soprano” indica la parte superiore del vigneto che, storicamente, si divide in due parti: Vigna Pianpolvere e Vigna Pianpolvere Soprano. A noi interessa il secondo, che Rodolfo gestisce come progetto separato da tutto il resto della produzione (Spumanti e Barolo). La vigna diventa un Marchio registrato. In principio Rodolfo sceglie di realizzare esclusivamente un Barolo Riserva, in uscita dopo sette anni di invecchiamento e da qualche anno con almeno sette/dieci anni. Le piante, non più giovani, sono pronte per esprimersi in una veste nuova, un Barolo Pianpolvere d’annata, presente solo nel mercato italiano. Giovane, sugli agrumi con tannini porosi. Già elegante è godibile. In questo “rifugio del cuore” Rodolfo segue per la cultura Green Experience che ha come obiettivi la lotta integrata, l’eliminazione totale dell’uso di diserbanti, l’inerbimento dei vigneti, il sovescio, la confusione sessuale e l’utilizzo di concimi organici, nonché insediamenti di nidi artificiali per uccelli e pipistrelli.

DEGUSTAZIONE

Barolo Docg Bricco San Pietro Vigna d’la Roul 2018

Dai vigneti che circondano il podere, esposti a sud, su matrice calcarea argillosa si offre vino longevo, ossuto; impostato sulla concentrazione tannica e l’astringenza. Impossibile non restarne coinvolti. Una trama giocata sulla fittezza della materia legata a un movimento odierno più verticale in cui si denota, nel finale, una potenza, giocoforza, sul frutto, che si racconterà nel tempo.

Barolo Docg Perno “Vigna Cappella di S. Stefano” 2018

Siamo su marne grigie e compatte, soprattutto in profondità, alternate a strati di arenarie inserite in depositi di sabbia giallo rossastra. Un’ottima stratificazione di suolo che si traduce in ampiezza di profumi, tra fiori e nuance balsamiche. La rotondità iniziale apre il sorso, la densità dell’uva si spalma con energia rilasciando mentolo, lamine.

Barolo Docg Big‘d Big 2018

Nasce dall’unione di uve provenienti da qualche parcella posta sotto la cantina, di matrice calcareo-sabbiosa; la viscosità nel vino si respira nell’ultimo fiato, arriva dritta in gola con una acidità imprigionata essa stessa in quello che è il telaio tannico che sigilla il vino, che si fa più arioso in un secondo momento. Si apre pur rimanendo serrato e con una concentrazione disposta con la compattezza di una legione romana.

Barolo Riserva Docg Vigna Madonna Assunta La Villa 2010

Siamo a Castelletto, frazione di Monforte d’Alba a sud, su formazione calcareo-argillosa e marne grigio-azzurre. Un vino così strutturato da essere quasi piccante, tra note di polvere e di sale, la succosità è testimonianza di una finezza inclusiva. Un sorso concreto che si racchiude nella sua stessa fibra e ossatura e che col calore del palato si amplia nel suo substrato potente e persistente.

Barolo Docg Pianpolvere 2018

La versione d’annata affina per i canoni quattro anni in legno (barrique e tonneau, per il 40% nuove) e non dimentica certo di raccontarsi con esuberanza, fragranza ma soprattutto con note che abbracciano l’eucalipto e la spezia dolce. Esplosivo, serrato in partenza, ordinato, lascia poi alla sua potenza il compito di esprimere l’aderenza del succo al sottile strato iodato.

Barolo Docg Pianpolvere Soprano 2010

Tantissimi gli anni in vetro prima dell’uscita, l’assaggio a distanza di dodici anni conferma quanto siamo necessari il tempo, la pazienza, la capacità d’ascolto di chi si approccia a un vino che tiene stretti i suoi spigoli ma si presenta in una vesta orientale, a tratti boschiva. Fiabesca. Tra echi balsamici e sottofondi ematici, il frutto non ammette punti di discontinuità, gioca tutto sulla freschezza, in un tessuto mai adombrato dall’ossatura. Anzi. È da aspettare, ancora con una sensazione siderurgica come sottotraccia.

Brut Valentino ( )

Un’icona tra le icone dell’azienda. Nasce per la prima volta nel 1989, da uve Chardonnay. La lunghissima permanenza sui lieviti, di almeno dieci anni, dona struttura al sorso che dapprima si amplifica e protrae tra note di zenzero; poi fiori bianchi, magnolia, la timbrica scandita da una patina più cremosa che nel finale in bocca si ritira in un gusto astringente.

Brut Rosé 2017

C’è anche un po’ di uva intera in questa cuvée composta per l’85% da Pinot noir e per il 15% da Chardonnay.  Si impone per la sua sfericità in ingresso, per la sua porosità e ampiezza; punti gessosi incisivi nel suo intercalare sempre rinfrescante e potente.

www.rocchedeimanzoni.it