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Il percorso evolutivo dell’iconico bianco italiano prodotto nelle colline del Chianti Classico, alla ricerca di quel gusto unico regalato da un vino culto per “definizione”

Era un sogno che si poteva realizzare” dice Manfred Ing, enologo di Querciabella dal 2009. Definite, appunto, le uve da cui partire e gli appezzamenti nei quali coltivarle, Batàr si è affermato per la sua grande espressività e potenziale evolutivo. L’assaggio di dieci annate diverse, che abbracciano quindici anni di tempo, mostra eloquentemente i risultati delle scelte prese per trovare nel bicchiere la migliore espressione possibile di un supertuscan che mette al centro l’interpretazione del profilo dell’annata affiancato da un lavoro di precisione svolto in vendemmia e in cantina, dove si è fatta strada una profonda selezione delle barrique per l’affinamento. Batàr fermenta in botti di rovere, selezionate da tre diversi fornitori diversi, quando non costruite appositamente, e vi affina per almeno nove mesi. Rese bassissime, 25 ettolitri, per un totale di circa quindicimila bottiglie prodotte ogni anno nei cinque ettari piantati a Chardonnay e Pinot Bianco. Siamo sul Galestro, suolo tipico dei migliori siti del Chianti Classico, terra del Sangiovese che, Querciabella, nella figura di Sebastiano Cossia Castiglione, ha scelto di sfidare con bacche internazionali e bianche, capaci di raccontarsi nel tempo. Ma facciamo un passo indietro. Batàr nel 1988, nasce come Bâtard-Pinot: la prima annata è poco più di un esperimento, se ne producono appena 576 esemplari. Nel nome c’è “Pinot” perché si trattava di un blend di Pinot Bianco e Pinot Grigio. Solo dopo qualche anno si è inserito lo Chardonnay nell’assemblaggio. Il vino aveva preso un’altra direzione, diventa Bâtard ma dura poco, perché nel 1995, data l’assonanza con la grande denominazione borgognona, Sebastiano Cossia Castiglione è costretto a togliere la “d”.

L’ispirazione ai vini della Côte d’Or è evidente ma c’era il desiderio di realizzare qualcosa di inedito, che valorizzasse il potenziale dei suoli di Ruffoli. In etichetta è ripresa una delle esclusive opere d’arte del pittore italiano Bernardino Luino, la tavola in primo piano riprende i momenti di convivialità e del nutrimento, tema tra i più sentiti di Sebastiano, tra i principali fautori della rivoluzione vegana nel mondo. Un movimento che ha trasposto anche nei vini facendo di Querciabella una delle prime aziende italiane ad essersi avvicinata all’agricoltura biologica e nel tempo alla biodinamica vegana, il risultato è l’esclusione di qualsiasi prodotto di origine animale, dalla vigna alla bottiglia. Dalle colture di copertura alle preparazioni erboristiche, passando per la cura manuale e la corretta tempistica degli interventi viticoli, si combinano diverse tecniche per garantire l’equilibrio ecologico. Con le radici che si nutrono in profondità nel terreno, le viti prosperano e raggiungono una crescita e una maturazione dell’uva più omogenea. Allo stesso tempo, valorizzando le connessioni naturali tra le radici della vite e i batteri, i microrganismi e i funghi del suolo, si lascia a ciascun vigneto la capacità di esprimere il suo carattere specifico. Uve espressive, specchio dei suoli e cariche di contenuti, hanno portato ad una lenta ma graduale riduzione dell’impiego del legno nuovo, impiegato fino al 2018 per il 60/80%. Con l’arrivo di Manfred, la definizione di Batàr si è andata a configurarsi prendendo in analisi la ricerca di freschezza ed eleganza passando in rassegna tutti gli elementi che coinvolgono la produzione, come l’impianto e l’aggiunta nel blend del Pinot Gouges (19 filari) nel 2013. Il clone borgognone, suggerito dal vivaista francese dell’epoca, porta finezza, materia e soprattutto tensione. Affina in tonneau posti nella stessa cuverie dedicata al Batàr che vede 110 barrique dedicate a Pinot e Chardonnay, usate 4 anni. Oggi si parla di una rotazione del 10% di botti nuove, spesso anche di piccolissime tonnellerie visitate da Manfred, con le quali è stato possibile instaurare un rapporto di fiducia e arrivare alla costruzione di un poinçon cucito secondo le proprie esigenze e gusti. Insomma, un lavoro di definizione ai dettagli, che si completa nell’ascolto delle uve, per lo Chardonnay si parla di due vigneti: le pendici a sud di Casaocci e il sito più alto dell’azienda, “Il Pallonaio” dove le argille scagliose, indurite e ricche di scisti conferiscono un’ideale concentrazione di frutti e intense note floreali. A un’altitudine di 600 metri vantano una grande presenza di arenaria, che conferiscono alle uve una spiccata mineralità silicea, note fumé e di lime, freschezza e tensione.

Anche per il Pinot Bianco si scelgono esposizioni fresche, esposte a nord a 400 metri di altitudine e ben visibili dalla cantina. Qui il galestro si è scomposto in argilla e scisto. Suoli di matrice più densa aggiungono al vino uno strato di ricchezza e di una struttura, che unisce cremosità e volume, in una tessitura che trova il suo fiato negli aromi di agrumi.

Il richiamo alla Borgogna in questo specifico momento di vita dei vini è netto con un millesimo in particolare, il 2005, ma anche in altri se si riesce a pazientare e vedere oltre i primi aromi. La presenza di Manfred e le sue microvinificazioni chirurgiche, il contato con le fecce per nove mesi e il controllo sull’evoluzione in legno delle masse abbinata a un assemblaggio delle stesse molto seguito da tutto il team dell’azienda rendono il vino sempre fedele al suo stile, ma oggettivato da una vitalità essa stessa figlia del millesimo. Dal 2010 Batàr è entrato in un nuovo capitolo della sua storia, dove ogni singolo lotto esprime un particolare che racconta la complessità del vino. Dalle sue stratificazioni minerali alla sua intensità del frutto, degli agrumi e dei fiori.

DEGUSTAZIONE

Batàr 1998

È un’estate secca, dalle temperature piuttosto elevate ma le altezze dei vigneti danno un riscontro diverso, la cui risposta è oggi nel bicchiere. Il primo naso ricorda note di cioccolato e di vermouth bianco, che riempiono il cielo, la nostra arcata superiore, che si colora di pennellate dorate, nascoste da strisce di granito, nel mezzo c’è la densità, in tensione, che batte sulle gengive e narra della sua voglia di mostrare il ricordo di un’annata nata interrogatoria. Ma di successo.

Batàr 2002

Sono giorni impegnativi, quelli del 2002. Alla primavera umida e fredda è seguito, improvvisamente, un giugno caldo. L’estate è ricca di acqua. Nel blend c’è praticamente solo Pinot bianco. È una scelta eccezionale, appaiono cenni di botrytis, un botta di alcol non interrompe il gusto avvolto da uno strato iodato molto persistente.

Batàr 2005

Annata dalle condizioni climatiche favorevoli, primavera umida e fredda, in cantina sono arrivati grappoli con un’acidità sostenuta. La vendemmia è iniziata il 27 agosto. Il primo naso è uno sguardo alla Francia, per la polvere da sparo, la pietra, l’acacia, il caprifoglio e il burro tostato. Ma piovono sensazioni rinfrescanti, vivide sensazioni, ancora, di roccia, irrompono nel corpo che non cancella il suo gusto di agrumi gialli, grande espressività e beva pressoché perfetta. Emozionante, dopo 18 anni.

Batàr 2011

Dopo una fioritura anticipata, un’ottima allegagione, l’estate mite e dalle forti escursioni termiche, hanno consentito di raggiungere una maturazione perfetta delle uve. Il naso riporta al Pinot Bianco, tanti fiori, note alpine, zenzero, muschio, un sentiero di montagna, dopo la pioggia, dove vapori boschivi si liberano nell’aria e avvolgono ogni passo con densità e un certo equilibrio nella sua tessitura, liscia, morbida. Sorso di fluidità memorabile. Elegantissimo.

Batàr 2013

A una primavera fresca e con abbondanti precipitazioni, sono seguiti un’estate e autunno caldi, la graduale maturazione delle uve si percepisce nel vino. Presenta note di agrumi, di cedro, di miele millefiori, la materia si dipana nel palato con grande tensione, una grana salace molto persistente, un sospiro finale presenta il passaggio in legno e conferma il momento del vino, non ancora all’apice della sua migliore espressività.

Batàr 2014

Dopo l’inverno piovoso e una primavera fresca dal germogliamento anticipato sono seguiti mesi umidi e di piogge mentre il settembre, mite, ha consegnato uve mature raccolte all’inizio del mese. Al naso c’è un richiamo di canditi, di albicocca, sorso molto nitido sul frutto, esile ma di spinta e propulsione, basato su una texture in tensione che spinge la materia in buon equilibrio, tra note di ibisco e mandarino nel finale.

Batàr 2016

Un’annata equilibrata, lo sviluppo vegetativo primaverile ed estivo è stato omogeneo, l’enorme escursione termica notturna ha portato a una vendemmia precoce. Il naso e il corpo sono aperti, i frutti si palesano con grande compiutezza, luminosità, lo strato boisé percepito in superficie e nel finale è solo la conferma della gioventù del vino nonché della sua solidità, percepita nella densità della polpa.

Batàr 2019

Dopo un inverno mite e una primavera umida e fresca, la vendemmia è stata di successo, per qualità e quantità. Migliaia le bottiglie prodotte in più rispetto alla media. Oltre agli agrumi e una persistenza, data dalla stratificazione minerale, si gode di una struttura piuttosto inedita per Batàr, così profonda, precisa e intensa.

Batàr 2020

Dopo l’ondata di freddo primaverile, che ha limitato il volume del millesimo, l’estate calda e secca si è protratta fino alla vendemmia, intervallata da piogge occasionali. Il risultato è un sorso di grande volume, piacevolezza e una massa di pixel iodati, di lunghezza ed energia elargita da una vena di freschezza continua. Una parte del sorso già opulento, non lascia in secondo piano l’energia. Sarà un grande vino invecchiamento. Definito.

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