È l’icona postmoderna di un cinema onnivoro e citazionistico che s’ispira a Godard e De Palma come alla blaxploitation, al cinema di arti marziali, ai cartoon, ai film italiani di serie B, ai fumetti, alle serie televisive e a mille altre cose, ma che rimane sempre unico e inimitabile: sa inventare, giocare con le immagini e scrivere dialoghi scoppiettanti come nessun’altro. È uno dei pochi registi che ancora girano in pellicola, anche in grande formato, con cui creare dei film-evento, è probabilmente l’unico a essere diventato oggetto di culto dopo soli due film ed è quello che più di tutti ha influenzato l’immaginario contemporaneo. Il suo nome è naturalmente Quentin Tarantino, l’ex commesso di un videostore a Manhattan Beach, Los Angeles, che è diventato il più conosciuto e citato cineasta del nostro tempo.
I nove film
Le iene (1992)
Quentin Tarantino, nei panni di Mr. Brown, esordisce con l’esegesi di Like a Virgin di Madonna, seduto al tavolo di un diner con altri gangster in completo nero e camicia bianca come i Blues Borthers: Mr. White (Harvey Keitel), Mr. Orange (Steve Buscemi), Mr. Blonde (Michael Madsen), Mr. Pink (Steve Buscemi) e Mr. Blue (lo scrittore Edward Bunker). Progettano insieme a Eddie “il Bello” (Chris Penn) e suo padre Joe Cabot (Lawrence Tierney) un colpo a una gioielleria, ma le cose non andranno come previsto, perché Mr. Orange è un infiltrato e ha un proiettile nella pancia. La resa dei conti avverrà in un capannone: moriranno tutti. È la storia di una rapina senza mostrare la rapina, solo le sue conseguenze, attraverso un montaggio disallineato con flashback dentro flashback (di cui uno finto). È il film che rivela il talento di QT, che sdogana il turpiloquio e fa esplodere la violenza. Nella scena più cruda Mr. Blonde tortura il poliziotto preso in ostaggio e poi dice all’orecchio che gli ha appena reciso: «Pronto, mi senti?».
Pulp Fiction (1994)
Quattro storie, più altre vicende collaterali, s’intersecano senza soluzione di continuità a Los Angeles, disallineando il racconto tradizionale. Il film inizia e finisce con la stessa scena (la rapina al diner) senza che questa occupi l’inizio o la fine della storia. Vincent Vega (John Travolta, letteralmente resuscitato da Tarantino) muore poco dopo la metà del film, ma è vivo nell’epilogo per effetto della destrutturazione narrativa, mentre Mia Wallace (Uma Thurman) torna dalla morte per overdose in tempo reale. Un killer di ghiaccio (Samuel L. Jackson) decide di diventare un asceta perché ha sentito «l’intervento divino» salvarlo da una gragnuola di proiettili sparati a bruciapelo. Un pugile al tramonto (Bruce Willis) si vende un incontro ma poi uccide l’avversario e gliene capitano di tutti i colori. Palma d’oro a Cannes, premio Oscar alla sceneggiatura. QT diventa un fenomeno di culto, Pulp Fiction il film più imitato, generando uno stuolo di epigoni. Tra le scene entrate nell’immaginario collettivo il twist tra Vincent Vega e Mia Wallace sulle note di You Never Can Tell di Chuck Berry e Harvey Keitel che suona il campanello dicendo: «Sono il signor Wolf. Risolvo problemi». Epocale colonna sonora surf-rock-funk-blues.
Jackie Brown (1997)
Dopo il passo falso di Four Rooms (1995), film a episodi, QT torna con un noir tratto da Rum Punch dell’amato Elmore Leonard che scontenta i fan, spiazzati da un film meno rivoluzionario dei due precedenti. QT, si mormora, non vuole più rischiare, si è normalizzato. Di fatto, Jackie Brown piace a chi non ama il Tarantino più pulp e sfacciato. La protagonista del titolo è un’hostess afroamericana che arrotonda lo stipendio trasportando denaro sporco per conto del trafficante d’armi Ordell (Samuel L. Jackson). Lei è Pam Grier, già regina della blaxploitation degli anni Settanta. Trova l’amore di Max (Robert Foster) ma non il lieto fine: canta in auto Across 110th Street di Bobby Womack mentre si morsica il labbro per il rimpianto. QT non sarebbe più stato così romantico e struggente. Strepitoso cameo per Robert De Niro nel ruolo di un criminale di mezza tacca che in un momento cruciale del film non ricorda dove ha parcheggiato il furgone.
Kill Bill – Volume 1 e 2 (2003-2004)
Un unico film uscito in “due volumi” a distanza di un anno per un totale di 247 travolgenti minuti che racchiudono la summa e l’apoteosi del cinema di QT. È la storia della vendetta di una donna che torna dal mondo dei morti e che ha vari nomi: La Sposa, Black Mamba, Beatrix Kiddo, infine Mamma. Lei è Uma Thurman, musa di QT e co-autrice del soggetto, nato ai tempi di Pulp Fiction. Dentro Kill Bill c’è di tutto: De Palma e Sergio Leone, Roger Corman e Bruce Lee, Star Trek e Superman, lo spaghetti-western e l’horror, lo split screen e il kung fu, il colore e il b/n. Numerose le scene memorabili: la storia di O-Ren Ishii (Lucy Liu) raccontata con un’animazione giapponese; la resa dei conti alla Casa delle Foglie Blu con Sofie Fatale, Johnny Mo, la temibile Gogo, gli 88 Folli e la stessa O-Ren; il seppellimento della protagonista ancora viva; i crudeli insegnamenti di Pai Mei (Gordon Liu); il combattimento con Elle Driver (Daryl Hannah); i due faccia a faccia con Bill (David Carradine) che aprono e chiudono il secondo volume, più dialogato e meno adrenalinico del primo. Colonna sonora trascinante e tripudio di citazioni. QT torna al cinema dopo anni di assenza con il capolavoro d’inizio millennio, tacitando così le malelingue che davano già per esaurita la sua vena creativa.
Grindhouse – A prova di morte (2007)
Se Kill Bill era un solo film diviso in due volumi, A prova di morte contiene due film in un unico spettacolo, omaggiando il double feature delle grindhouse degli anni Settata, le sale di ultima visione dove le pellicole erano spesso rovinate da graffi, sfocature, salti di rullo, che QT, qui anche direttore della fotografia, riproduce digitalmente sul corpo del suo film, insieme ad alcuni finti trailer. I due episodi sono uniti dalla presenza di Stuntman Mike (Kurt Russell), una controfigura dal volto sfregiato a caccia di belle ragazze da uccidere con la sua auto “a prova di morte”. Il primo crash va a segno (la sequenza, scandita da Hold Tight di Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich, è un vero shock), ma al secondo tentativo le cose andranno diversamente. Negli Usa, dove è uscito nella versione di 191’ con Planet Terror del sodale Robert Rodriguez, è stato un flop.
Bastardi senza gloria (2009)
Una “sporca dozzina” di soldati ebrei americani capitanati da Aldo “l’Apache” (Brad Pitt) sbarca in Europa con la missione di scotennare i nazisti. C’è un’attrice tedesca loro complice (Diane Kruger), c’è la proprietaria ebrea di un cinema parigino che medita vendetta (Mélanie Laurent) e c’è soprattutto il temibile, astuto colonnello delle SS (Christoph Waltz, premiato con l’Oscar), che parla quattro lingue, compreso l’italiano, e ne sa una più del diavolo. Incorniciato da due massacri, il sesto film di Tarantino strizza l’occhio alla serie B italiana (qui Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari) ma organizza uno spettacolo che trabocca di amore per il cinema di serie A (Pabst, Riefenstahl, Ford). Non a caso la strage dei nazisti, Hitler compreso, avviene in una sala cinematografica, il luogo per antonomasia della fantasia, dove QT riscrive la Storia.
Django Unchained (2012)
Lo schiavo nero più ammazzasette del West (Jamie Foxx) viene liberato da un ex dentista tedesco cacciatore di taglie (Christoph Waltz, al secondo Oscar consecutivo): formeranno una bizzarra quanto implacabile coppia di bounty killer, finché non arrivano alla tenuta del cinico latifondista Calvin Candie (Leonardo DiCaprio) per riscattare Broomhilda, la moglie di Django. Il richiamo agli spaghetti-western è di facciata (il titolo del film di Sergio Corbucci, le musiche di Luis Bacalov), la sostanza dello spettacolo (e la sua confezione) è ancora una volta tutta americana: QT rilegge la Storia nazionale ambientando il film due anni prima della guerra civile e mostrando lo scandalo di un “negro” libero di cavalcare, di vestirsi come un damerino e di fare strage di bianchi. Secondo Oscar per la migliore sceneggiatura originale dopo quella di Pulp Fiction e clamoroso successo di pubblico.
The Hateful Eight (2015)
Due famigerati cacciatori di taglie – l’ex maggiore nordista Warren (Samuel L. Jackson) e John Ruth “il Boia” (Kurt Russell), che ha con sé la prigioniera Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh) – più un sedicente neo-sceriffo (Walton Boggins) si fermano all’emporio di Minnie. Dentro li aspettano, sotto mentite spoglie, i complici di Domergue. Si comincia all’aperto, con un incipit mozzafiato in mezzo alla neve e un prologo in diligenza, per poi passare a un gioco al massacro da camera. Le parole uccidono come i proiettili, ma è tutto vero quello che viene raccontato? Un apologo sull’ambiguità (la lettera di Lincoln) questa volta ambientato dopo la guerra civile e filmato in Ultra Panavision 70 mm (la versione in pellicola, che ha in più un’overture e un intervallo musicali, dura 187 minuti contro i 168 di quella digitale). Dopo averlo ripetutamente saccheggiato nei suoi film precedenti, QT convince Ennio Morricone a comporre una colonna sonora originale, la prima nella sua filmografia, premiata con l’Oscar.
C’era una volta a… Hollywood (2019)
È il 1969 e Tarantino racconta un mondo sognato da sempre, una Hollywood fatta di cinema, set, drive in, film di serie B, serie tv, locandine, insegne, luci, corse in auto, cortocircuiti tra realtà e finzione (Sharon Tate che in sala vede se stessa sullo schermo). In questo luogo dell’immaginario la controfigura (Brad Pitt) di un attore in crisi d’identità (Leonardo DiCaprio) può dare una lezione a Bruce Lee, fare lo smargiasso nel ranch della Manson Family (una scena dove non succede niente ma la tensione si taglia con il coltello) e sventare la strage di Cielo Drive. Sharon (Margot Robbie) è salva e può finalmente invitare a casa sua l’incredulo Rick Dalton. È il nono film di QT, il quale ha pubblicamente annunciato che si ritirerà dopo il decimo: tutti i suoi fan sperano ci ripensi.
To be continued